Questa legge [il Federal Reserve Act, del 1913] reintrodusse un sistema bancario centralizzato negli Stati Uniti: fu istituito il Federal Reserve System, e gli fu dato il potere di emettere un’unica nuova valuta americana, la Federal Reserve Note (che non è altro che ciò che oggi chiamiamo dollaro americano) e altri titoli aventi valore legale, che furono concepiti come obbligazioni del Tesoro degli Stati Uniti, e dovevano corrispondere ad una riserva d’oro (gold backing) del 40%[1].

La Federal Reserve (di seguito anche Fed), l’organo di vertice di tale sistema, fu pensata per rispondere alle crisi fornendo prestiti di emergenza alle banche (la nota funzione di prestatore di ultima istanza, o lender of last resort, su cui torneremo), immettendo liquidità nel sistema monetario ed espandendo il credito, sulla base della convinzione che questa fosse la risposta necessaria e corretta. Le banche istituite a livello nazionale furono obbligate ad esser parte del sistema, e a tutti i membri fu riconosciuto il diritto a prestiti a un tasso scontato.

Il Federal Reserve Act intervenne anche sul reserve requirement, imponendo una riserva sui depositi a richiesta del 18, 15 o 12% a seconda del tipo di banca, e del 5% sui depositi vincolati nel tempo[2].

Perfettamente in linea con gli obiettivi politici che essa puntava a perseguire, il potere di nomina dei membri del suo Board fu dato al Presidente degli Usa, su conferma del Senato; il Board fu rinominato nel 1935[3] Board of Governors, e fu stabilito che il Segretario del Tesoro e il Comptroller of the Currency non ne avrebbero più fatto parte.

Al di là di quest’ultimo caso, il Federal Reserve Act ha conosciuto molte altre modifiche. Tra le più importanti, vi sono state quella sempre del Banking Act of 1935, che ha attribuito alla Fed il potere di modificare i reserve requirements (un potere di cui essa ha fatto ampio uso[4]), e quella – successiva – che ha esplicitamente attribuito alla Federal Reserve il compito di «promuovere in modo efficace gli obiettivi di massima occupazione, prezzi stabili, e moderati tassi d’interesse di lungo periodo»[5], nonché richiesto al Chairman di testimoniare davanti al Congresso due volte l’anno per riferire sulla politica monetaria perseguita e sulle proprie altre azioni.

Gli scopi assegnati alla Fed saranno discussi nell’ambito della più generale critica delle politiche monetarie, al § 6.; l’altro cambiamento ricordato evidenzia la stretta connessione con i rappresentanti eletti di questo organo di per sé indipendente, un tema che non è possibile affrontare in questa sede, ma che meriterebbe adeguato approfondimento.

In ogni caso, tornando al tempo dell’approvazione del Federal Reserve Act, al termine della Prima Guerra Mondiale gli Stati Uniti si trovarono nella necessità di ripagare molti debiti contratti a causa del conflitto, e a tal fine decisero di stampare una grande quantità di denaro cartaceo, senza corrispondenza con dell’oro esistente: ciò durò fino al 1925, quando un sistema di gold standard fisso fu reintrodotto. Esso durò però solo fino al 1931, quando a causa della Grande Depressione si verificò una corsa a convertire il denaro cartaceo in oro, che il governo non era pronto a fronteggiare.

L’indagine sulle cause della Grande Depressione in sé è un tema che ha sollevato molte controversie ed è stato oggetto di una vastissima bibliografia. In estrema sintesi, nella prospettiva della scuola austriaca di economia qui accolta, che in argomento ha il suo principale testo di riferimento nell’importante libro del 1963 di M.N. Rothbard[6], gli elementi chiave che hanno portato al crollo azionario del 1929 e poi aggravato ulteriormente la situazione sono state delle errate politiche governative e monetarie.

In particolare, ai fini del presente lavoro vengono in rilevo le seconde: Rothbard evidenziò al riguardo l’impatto della politica monetaria lassista della Fed negli anni venti del Novecento. Nel tentativo di stimolare la ripresa post-bellica, essa adottò infatti una politica monetaria espansionistica al fine di incrementare l’offerta di credito, e questo alterò il funzionamento dei mercati in maniera così elevata da condurli a uno dei più gravi shock della storia. E la Fed non fu solo responsabile di aver dato un contributo determinante alla crisi: essa continuò nelle proprie errate politiche anche dopo lo scoppio della bolla, prolungando la recessione con politiche inflazionistiche.

Ma la crisi condusse anche ad altre risposte governative criticabili, nella prospettiva seguita in questo lavoro, come l’Emergency Banking Relief Act[7], che rese necessaria per le banche l’approvazione della Fed per poter legittimamente operare negli Stati Uniti, così ponendo barriere all’ingresso e ingessando il settore bancario.

Ma soprattutto, tra quelle che determinarono un’ulteriore manipolazione del denaro, oltre all’abbandono del gold standard nel 1931 va ricordato il famigerato Executive Order 6102, Requiring Gold Coin, Gold Bullion and Gold Certificates to Be Delivered to the Government, approvato il 5 aprile 1933 dal Presidente Franklin Delano Roosevelt[8]: con questa misura, egli proibì «l’accumulazione di monete d’oro, lingotti d’oro e certificati sull’oro all’interno degli Stati Uniti continentali», prevedendo sanzioni penali per coloro che fossero trovati in possesso di oro in funzione di moneta: i cittadini americani furono pertanto obbligati a consegnare quasi tutto l’oro che possedevano alla Federal Reserve, in cambio di una certa quantità di dollari.

L’Order fu poi modificato, revocato e riapprovato; infine, nel 1934, il Congresso approvò il Gold Reserve Act[9], che proibì il possesso di quasi ogni forma di oro da parte dei privati, costringendoli a venderlo al Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti (e allo stesso tempo aumentò il prezzo nominale dell’oro, che rimase invariato fino al 1971)[10].

Nel giugno 1933, il Congresso aveva anche approvato la cosiddetta Gold Repeal Joint Resolution[11], che – sulla base del fatto che non vi era più oro (legalmente) nelle mani dei privati – vietò le cosiddette “gold clauses”, cioè le clausole che stabilivano che il pagamento di un’obbligazione monetaria in un contratto poteva essere richiesto in oro, in alternativa al denaro cartaceo (i contratti che includevano tali clausole divennero pertanto non azionabili).

Il Congresso fondò tale Risoluzione sulla base della considerazione che «la detenzione o il commercio di oro influiscono sull’interesse pubblico, e sono quindi giustamente soggetti a regolazione e restrizione», e soprattutto che

«l’attuale emergenza ha mostrato che le clausole delle obbligazioni che mirano a dare all’obbligato il diritto di richiedere il pagamento in oro o in un particolare tipo di moneta o valuta degli Stati Uniti, o in una quantità di moneta degli Stati Uniti misurata in relazione ad esso, limitano il potere del Congresso di regolare il valore del denaro degli Stati Uniti, e sono incompatibili con la dichiarata politica del Congresso di mantenere in ogni tempo un uguale potere d’acquisto di ogni dollaro, coniato o emesso dagli Stati Uniti, nei mercati e nel pagamento dei debiti»[12].

La Risoluzione fu subito impugnata, sulla base della considerazione che la sua approvazione esorbitava dalla competenza del Congresso, ma la Corte Suprema, in tre opinioni 5-4[13], respinse tale addebito, affermando che il potere del Congresso di regolare il denaro era un “plenary power”, perciò il Congresso poteva legittimamente vietare le “gold clauses” nella misura in cui esse minacciavano il suo controllo del sistema monetario[14].

In ogni caso, con gli accordi di Bretton Woods alla fine della Seconda Guerra Mondiale, fu reintrodotto un “gold standard”[15], ma sopravvisse solo per vent’anni. Esso consisteva in un sistema di cambi fissi tra alcune monete e il dollaro, che unito alla promessa degli Usa di mantenere fisso il prezzo in dollari dell’oro faceva sì che di fatto le monete ancorate al dollaro avessero un valore in oro fisso.

Tuttavia, benché nel 1963 il Congresso avesse mantenuto la convertibilità a richiesta dei certificati sull’argento in dollari-argento o lingotti d’argento[16], meno di un anno dopo tale convertibilità fu sospesa dal Segretario al Tesoro C. Douglas Dillon[17], e l’anno ancora successivo il Congresso approvò il Coinage Act of 1965[18], che autorizzò il Dipartimento del Tesoro ad eliminare il contenuto d’argento da tutte le monete[19], impedendo contemporaneamente agli americani di continuare a rivolgersi a monete in metallo con la previsione che

«[a]ll coins and currencies of the United States … , regardless of when coined or issued, shall be legal tender for all debts, public and private, public charges, taxes, duties, and dues»,

cioè le monete così svalutate avrebbero avuto corso legale.

Va rilevato al riguardo che l’azione di riduzione del valore di una moneta era stata vietata (e inizialmente punita con la pena di morte) per centosettantatré anni[20]. Il cambio di percezione è estremamente significativo: nel giro di un secolo è mezzo, si è passati dal considerare questa stessa azione – se compiuta da un falsario o truffatore privato – come il peggiore dei crimini, all’attribuzione espressa al governo del potere di compierla, evidentemente ormai considerandola del tutto accettabile e lecita: non più una forma di falsificazione del denaro, e neppure un falso in atto pubblico[21], nonostante la sostituzione di metallo prezioso con altro di assai minor valore, con la pretesa che il valore nominale rimanesse lo stesso[22].

In ogni caso, con una legge del 24 giugno 1967[23], fu completato il quadro, stabilendo che tutti i certificati sull’argento avrebbero potuto essere convertiti in argento ancora solo per un anno, dopo di che si sarebbero potuti convertire soltanto in denaro fiat del Tesoro; e nel 1970 una legge[24] modificò il Coinage Act of 1965 stabilendo che tutte le monete da allora coniate sarebbero state composte da una lega di rame e nickel, e dunque non avrebbero più contenuto metalli preziosi (confermando così la tendenza a considerare ormai del tutto di prammatica la riduzione del valore del denaro, operata sistematicamente dal governo).

Infine, nel 1971, il Presidente Nixon stabilì ufficialmente che gli Stati Uniti non avrebbero più convertito i dollari in oro, così ponendo fine al “gold standard” internazionale (cioè in pratica la corrispondenza della quantità di dollari in circolazione con una determinata quantità d’oro – o argento – realmente esistente), e optando definitivamente, negli Stati Uniti, per un sistema di puro fiat money [25]: ciò ebbe però ripercussioni anche sui molti altri Paesi, le cui monete avevano avuto fino ad allora un rapporto fisso col dollaro, monete che per effetto della decisione di Nixon divennero quindi anch’esse d’un sol colpo di tipo fiat.

Nessun’altra moneta al mondo aveva ormai una corrispondenza con una reale quantità d’oro (o d’argento).

Dopo che lo Smithsonian Agreement del dicembre 1971[26] agganciò le principali valute mondiali al dollaro anziché all’oro per circa due anni, nel 1973 il dollaro venne sensibilmente svalutato nei confronti dell’oro[27]: ciò provocò tensioni sui mercati e a quel punto il Tesoro, non essendo più in grado di garantire una conversione a un tasso fisso del dollaro con le altre monete, decise nel marzo di lasciar fluttuare il valore del primo nei confronti delle secondo, sancendo così la fine del sistema di Bretton Woods e inaugurando un sistema di cambi flessibili, tuttora in vigore; alcuni anni dopo, ciò trovò espressa conferma normativa, con l’abrogazione di ogni riferimento normativo ad un valore del dollaro ancorato all’oro[28].

Secondo alcuni autori, questo processo ha condotto a una situazione di forte contrasto con la Costituzione:

«Today, the American economy operates under a monetary system which is completely outside the Constitution. Its fiat money is continually manipulated both in value and quantity. This has had a devastating impact on its purchasing power, which is now down to about 8 percent of its 1933 value. It has eroded the value of savings, insurance policies, retirement funds, and the fixed incomes of the elderly»[29].

Ad onor del vero, nel 1974 il Congresso aveva approvato una legge[30] che abolì (con effetto dal 31 dicembre), il divieto di acquisto, detenzione, vendita e commercio d’oro negli Stati Uniti e all’estero, che come detto era stato imposto il 5 aprile 1933 dal Presidente Roosevelt; una legge del 28 ottobre 1977[31] modificò anche la Joint Resolution del 1933, consentendo di includere nuovamente le “gold clauses” nei contratti. Ma ormai la strada era tracciata per l’attribuzione alla Fed del potere di manipolare il denaro senza limiti, qualcosa che qui si ritiene essere molto pericoloso, come si cercherà di argomentare al § 6.

Dopo la riduzione dei reserve requirements sui depositi a domanda dal 12 al 10 per cento (aprile 1992[32]), l’ultima tappa si ebbe con la poderosa manipolazione della quantità di denaro circolante inaugurata da Alan Greenspan poco dopo esser divenuto Chairman della Fed, come parte di ciò che divenne noto come la Greenspan Put. Con questa espressione si fa riferimento alla promessa da parte di Greenspan, ribadita più volte in discorsi ufficiali, di non lasciar crollare i corsi azionari: ove essi fossero scesi sotto una certa soglia, Greenspan assicurò che avrebbe impiegato gli strumenti della politica monetaria per risollevarli (tipicamente aumentando l’offerta di moneta).

La promessa fu poi effettivamente mantenuta, con l’adozione di una politica monetaria espansiva in risposta ai rivolgimenti economici negativi, volta a contrastare le cadute dei mercati azionari. In pratica, secondo il tipico modus operandi delle banche centrali, ciò avvenne tramite la fissazione del tasso d’interesse di riferimento da parte del Federal Open Market Committee della Fed, un potere che questo organo, istituito dal Banking Act of 1933, ricevette con il Banking Act of 1935; in seguito, i vari governatori del Federal Reserve System mettevano in pratica questo tasso-obiettivo tramite le cosiddette “operazioni di mercato aperto”, cioè operando sui bond del governo americano al fine di influenzare la quantità di denaro in circolazione. In questo caso, tra il 1987 e il 2006, quando Greenspan lasciò l’incarico, il FOMC stabilì in diverse fasi di tagliare i tassi di interesse, così il sistema della Fed iniziò ad acquistare bond governativi, al fine di iniettare liquidità nell’economia e così stimolarla artificialmente[33].

Addirittura, a una conferenza nel febbraio 2004, Greenspan affermò espressamente che

«the traditional fixed-rate mortgage may be an expensive method of financing a home»[34],

suggerendo così agli americani di optare per i mutui a tasso variabile, e questo perché la Fed avrebbe continuato in politiche espansive tendendo basso il costo del denaro. Ferma restando la macroscopica manipolazione del mercato effettuata con questa e le altre dichiarazioni – che se compiute da un comune cittadino avrebbero verosimilmente potuto attirargli un’indagine per aggiotaggio –, sta di fatto che, di fronte ai rischi inflazionistici, i tassi obiettivo dovettero in realtà venire alzati tra il giugno 2004 e il giugno 2006[35].

In ogni caso, secondo la prospettiva qui adottata, il danno era ormai fatto; i tassi rimasero poi stabili per più di un anno, e poi col settembre 2007 arrivò la crisi, in risposta alla quale la Fed tagliò di nuovo bruscamente i tassi, fino allo 0-0,25% nel dicembre 2008, un livello da cui non si sono più risollevati.

Nel paragrafo conclusivo si rifletterà brevemente su come la Greenspan Put, al pari di molti degli atti governativi ricordati, che hanno avuto così rilevanti conseguenze sulla vita dei cittadini americani, consistettero in mere dichiarazioni, accordi informali, proclami più o meno ufficiali, risultando così del tutto sottratto al circuito di legittimazione democratica e ai controlli giurisdizionali previsti per far valere l’illegittimità di un atto normativo o regolamentare.

Riccardo De Caria

(Segue…)


Note:
[1] E.C. Simmons, The Elasticity of the Federal Reserve Note, in [1936] 26(4) American Economic Review 683, 683.

[2] J.N. Feinman, op. cit., 573.

[3] Per opera del Banking Act of 1935 (An Act To provide for the sound, effective, and uninterrupted operation of the banking system, and for other purposes, Pub. L. 74-305, 49 Stat. 684, August 23, 1935).

[4] V. J.N. Feinman, op. cit., 574 ss.: senza ricostruire nel dettaglio tutti i passaggi, ci limiteremo a ricordare come i reserve requirements furono diminuiti soprattutto tra gli anni ottanta e novanta; con decisione della Fed in vigore dal 29 dicembre 2011, peraltro, il valore è stato ulteriormente abbassato, in risposta alla crisi.

[5] Federal Reserve Act, Section 2A (12 USC 225a), aggiunta da An Act To extend the authority for the flexible regulation of interest rates on deposits and accounts in depository institutions, to promote the accountability of the Federal Reserve System, and for other purposes (Pub. L. 95-188, 91 Stat. 1387, Nov. 16, 1977); successive modifiche non hanno toccato questa clausola.

[6] M.N. Rothbard, America’s Great Depression, London, Van Nostrand Reinhold, 1963, ed. it. La Grande Depressione, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008.

[7] An Act To provide relief in the existing national emergency in banking, and for other purposes (Pub. L. 73-1, 48 Stat. 1, enacted March 9, 1933).

[8] Online su G. Peters, J.T. Woolley, The American Presidency Project, www.presidency.ucsb.edu/ws/index.php?pid=14611.

[9] Gold Reserve Act of 1934 (An Act To protect the currency system of the United States, to provide for the better use of the monetary gold stock of the United States, and for other purposes), Pub.L. 73-87, 48 Stat. 337, January 30, 1934.

[10] Il Congresso fece qualcosa di molto simile con l’argento, approvando il Silver Purchase Act of 1934 (An Act To authorize the Secretary of the Treasury to purchase silver, issue silver certificates, and for other purposes, 73d Congress, Session II, Ch. 674, 48 Stat. 1178, June 19, 1934), sulla base della cui s. 7 il Presidente Roosevelt approvò l’Executive Order 6814 (Requiring the Delivery of All Silver to the United States for Coinage, 9 agosto 1934, online su G. Peters, J.T. Woolley, The American Presidency Project, www.presidency.ucsb.edu/ws/index.php?pid=14741), con cui ordinava ai privati la consegna di quasi tutto l’argento non monetario da loro detenuto (in cambio di certificati sull’argento).

[11] Joint Resolution to assure uniform value to the coins and currencies of the United States (73d Congress, Session I, Ch. 48, Pub. Res. No. 10, 48 Stat. 112, June 5, 1933).

[12] Corsivo aggiunto.

[13] United States v. Bankers’ Trust Co., 294 U.S. 240 (1935); Nortz v. United States, 294 U.S. 317 (1935); Perry v. United States, 294 U.S. 330 (1935).

[14] Su questa vicenda, vedi H.M. Holzer, How Americans Lost Their Right to Own Gold And Became Criminals in the Process, Committee for Monetary Research & Education, 1981, www.fame.org/pdf/Holzer%20Henry%20Mark%20How%20Americans%20Lost%20Their%20Right%20to%20Own%20Gold.pdf.

[15] Recepito negli Usa dal Bretton Woods Agreement Act (An Act To provide for the participation of the United States in the International Monetary Fund and the International Bank for Reconstruction and Development, 59 Stat. 512, Pub.L. 79-171, July 31, 1945).

[16] Con An Act To repeal certain legislation relating to the purchase of silver, and for other purposes (77 Stat. 54, Pub.L. 88-36, June 4, 1963, s. 2).

[17] U.S. Department of the Treasury, Silver Certificates, www.treasury.gov/about/history/collections/Pages/silver.aspx.

[18] An Act To provide for the coinage of the United States, Pub. L. 89-81, 79 Stat. 254, July 23, 1965.

[19] Tranne quelle da 50 centesimi, per le quali autorizzò comunque una riduzione al 40% del quantitativo di argento.

[20] Ovvero dal sopra citato Coinage Act of 1792.

[21] Ovvero il reato di cui a 18 USC 1001.

[22] Si tratta di interpretazione evidentemente provocatoria, ma a rigor di lettera della fattispecie incriminatrice non così peregrina.

[23] An Act To authorize adjustments in the amount of outstanding silver certificates, and for other purposes, 81 Stat. 77, Pub.L. 90-29, Jun. 24, 1967.

[24] An Act To amend the Bank Holding Company Act of 1956, and for other purposes, 84 Stat. 1760, 1768, Pub.L. 91-607, Dec. 31, 1970, Title II.

[25] Per un approfondimento sulla storia del gold standard negli Usa, v. C.K. Elwell, Brief History of the Gold Standard in the United States (CRS Report for Congress, 23 giugno 2011, www.fas.org/sgp/crs/misc/R41887.pdf).

[26] Un accordo tra i Paesi del G-10 concluso presso la Smithsonian Institution. Negli Stati Uniti, esso fu recepito con il Par Value Modification Act (An Act To provide for a modification in the par value of the dollar, and for other purposes, 86 Stat. 116, Pub.L. 92-268, March 31,1972).

[27] Il valore fissato dal Tesoro fu in realtà poi ufficialmente stabilito solo molti mesi dopo (ad opera di An act to amend the Par Value Modification Act, and for other purposes, 87 Stat. 352, Pub.L. 93-110, September 21, 1973), quando era ormai lontanissimo da quello effettivamente praticato: cfr. C.K. Elwell, op. cit., 13).

[28] An act to provide for amendment of the Bretton Woods Agreement Act, and for other purposes (90 Stat. 2660, Pub.L. 94-564, October 19, 1976); cfr. C.K. Elwell, op.cit., 13.

[29] W.C. Skouson, The Making of America, Malta, National Center for Constitutional Studies, 19852, § The Making of America.

[30] An Act to provide for increased participation by the United States in the International Development Association and to permit United States citizens to purchase, hold, sell, or otherwise deal with gold in the United States or abroad Pub. L. 93-373, 88 Stat. 445, August 14, 1974.

[31] An Act To authorize the Secretary of the Treasury to invest public moneys, and for other purposes (Pub. L. 95-147, 91 Stat. 1227, 1229, Oct. 28, 1977, s. 4(c) (originariamente codificata sotto 31 U.S.C. § 463, ricodificata come modificata sotto 31 U.S.C. § 5118(d)(2)).

[32] J.N. Feinman, op. cit., 581.

[33] Un grafico interattivo molto utile del tasso d’interesse di riferimento dal 1971 a oggi è disponibile su www.tradingeconomics.com/united-states/interest-rate.

[34] A. Greenspan, Understanding household debt obligations (remarks at the Credit Union National Association 2004 Governmental Affairs Conference, Washington, D.C., 23 febbario 2004), www.federalreserve.gov/boarddocs/speeches/2004/20040223/default.htm.

[35] Ancor più evidente è la manipolazione del mercato, effettuata con il pressoché dichiarato intento di farla, realizzata da M. Draghi con le sue recenti dichiarazioni secondo cui «the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro», e con la sottolineatura: «believe me, it will be enough» (v. J. Black, J. Randow, Draghi Says ECB Will Do What’s Needed To Preserve Euro, in Bloomberg, 26-7-2012, www.bloomberg.com/news/2012-07-26/draghi-says-ecb-to-do-whatever-needed-as-yields-threaten-europe.html).

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